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Il coraggio di Anna Politkovskaja. E’ uscito il libro di Lucia Tilde Ingrosso sull’icona del giornalismo d’inchiesta

Dottoressa, lei….

Fra giornalisti ci si da del tu!

Da Milano, prima a Perugia poi a Cortona dove trascorri la tua adolescenza diplomandoti al liceo Signorelli. Adesso qual è il tuo legame con la città etrusca e la valdichiana? 

Mio padre lavorava nel marketing a Milano e dopo aver sentito il boato di Piazza Fontana decise che non era il posto adatto dove crescere una bambina. Allora fu trasferito a Perugia e iniziò a lavorare alla Perugina. Fu così che in un gita domenicale si innamorò di Cortona e decise di comprare una casa nel centro storico. Ed ecco che da quando avevo 3 anni ho vissuto a Cortona, per poi salutarla appena diplomata al liceo Classico Signorelli quando ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Economia Aziendale a Milano. E non è un caso che nei miei romanzi ci sono vari richiami alla città etrusca che mi è rimasta particolarmente nel cuore. 

Come ci hai detto, sei nata in un humus familiare squisitamente «economicista» e per lo più hai anche una laurea con una tesi sul marketing. Come sei finita a scrivere?

Ho sempre avuto questo sogno nel cassetto. Ma d’altra parte sapevo che la professione era alquanto difficile. E quindi mi sono preparata un piano B. La Bocconi era già allora un’università prestigiosa, il marketing lo avevo nel DNA e allora ho deciso di intraprendere questa strada. Peccato che quando mi sono laureata, lo scandalo di tangentopoli aveva dato una bella botta alle aziende che avevano praticamente smesso di assumere. 

Ed ecco il tuo ingresso nel mondo del giornalismo

Esatto, ho deciso di partecipare ad un contest della rivista economica Millionaire che assumeva giornalisti inviati da mandare in cinque paesi per tre mesi. E’ andata bene e alla fine ho passato tre mesi a Budapest. Appena tornata, ho iniziato a lavorare in redazione e, seppur iniziando con mansioni impiegatizie, sono riuscita seguendo tutto l’iter a diventare giornalista professionista. 

E da lì a poco arrivano i primi libri. Stavo googlando su di te e vedo che ha scritto molti saggi umoristici. E allora ti chiedo: Assunta di Fresco, di chi è? 

Riavvolgiamo il nastro. La vita è fatta di incontri. Uno di questi è stato con il selezionatore che mi ha selezionato per Millionaire che, oltre a essere un professionista molto competente, era anche un uomo dal grande spirito. Da lì è nata un’amicizia straordinaria. Arriva allora la mia prima uscita a quattro mani, con lo pseudonimo Assunta di Fresco, intitolato «Curricula ridicula», ovvero una rassegna dei più divertenti errori che si potevano ritrovare nei vari curriculum che venivano inviati in vista di un colloquio. Ecco perché quello umoristico è stato il mio primo filone. 

Tu sei anche una giallista con i suoi racconti di Sebastiano Rizzo ambientati a Milano. Manzini, autore di Rocco Schiavone, durante la presentazione del suo ultimo libro ha detto che i gialli non sono più libri di evasione ma sono – semplifico – il pretesto per raccontare qualcosa di più profondo. Vichi, autore del commissario Bordelli, li usa come contenitore per raccontare storie. Tu come lo vedi questo genere letterario?

Mi sono buttata in questo filone perché ero innamorata di Agatha Christie. E il giallo mi piace per due motivi: in primis, il giallo per il fatto stesso di essere un giallo, da un motivo per essere letto: c’è un mistero da risolvere; il secondo era proprio per unire le mie due anime che nel giallo solitamente si intrecciano, da una parte quella artistico letterario con la narrativa e la scrittura, e dall’altra quella per così dire ingegneristica che deve rispettare delle regole, mettere false piste, seminare indizi e creare suspance. Per arrivare a risponderti, il giallo può essere sia di evasione ma può essere anche un romanzo sociale, di denuncia, oppure un romanzo storico. A me personalmente piace utilizzarlo per raccontare i rapporti umani. 

Arriviamo al clou dell’intervista. Per il 10imo anniversario dell’uccisione di Anna Politkovskaja, scrivi «Il Sogno di Anna». Perché hai deciso da raccontare questa vicenda che è anche un po’ in discontinuità rispetto quanto avevi scritto fino allora? 

Da giornalista amo cambiare qua e là. Inoltre, i miei agenti letterari mi avevano consigliato di scrivere biografie di personaggi che potevano diventare modello per i ragazzi. Anna Politkovskaja era il nome giusto tant’è che riuscì a vendere il libro alle case editrici addirittura prima di averlo finito di scrivere. Venendo alla trama, è il racconto di una ragazza di 15 anni che vuole diventare giornalista e, ad un corso di giornalismo che segue, gli assegnano il compito di scrivere una tesina su Politkovskaja. Che ovviamente è un escamotage per parlare di questo personaggio. 

E proprio da pochi mesi, è in vendita il tuo secondo romanzo sempre sulla giornalista russa misteriosamente uccisa.

Anno scorso ho seguito una conferenza della casa editrice Morellini, che ha lanciato una collana chiamata «Femminile Singolare» ispirata alle figure di grandi donne: romanzi sì ma che siamo veritieri. D’istinto ho proposto la Politkovskaja, l’idea mi è piaciuta e sono stata tutta l’estate al lavoro. Ho scritto cinque versioni proprio perché dovevo cercare il giusto equilibrio tra parte romanzata e parte biografica tant’è che l’uscita è slittata al 3 Marzo scorzo, pochi giorni dopo l’inizio della guerra in Ucraina. L’uscita è stata casuale ma causale non è il nesso tra i crimini commessi tra la guerra attuale e quella in Cecenia di un decennio fa che Anna Politkovskaja denunciava fortemente. Purtroppo, senza essere ascoltata né in Patria né, alla fin fine, in Occidente dove comunque sia i governanti continuavano ad avere rapporti con Putin. 

Due libri portati come come esempio per i giovani aspiranti giornalisti. Ma anche degli scritti dedicati alle donne

Ai giovani piace molto. Quando la porto nelle scuole vengono colpiti dalla sua lezione di coraggio e dal suo instancabile impegno nell’usare le parole per combattere l’ingiustizia. Ma anche il tema delle donne, del riscatto femminile, è primario. Basta pensare che Putin è contrario all’aborto e ha depenalizzato la violenza domestica. Anche Ramzan Kadyrov, il dittatore ceceno filo russo possibile mandante della Politkovskaja, il giorno della morte della giornalista disse «Era una donna: doveva stare in cucina». 

Ecco, allora visto che il romanzo si inserisce ahimè drammaticamente con la quotidianità di questi giorni, chiedo: cosa può dirci la storia di Politkovskaja su quello che sta succedendo tra Russia e Ucraina? 

Non si può tollerare un comportamento dittatoriale e autoritario a prescindere. Non si può essere indifferenti o quasi con il massacro che ha subito il popolo ceceno e poi indignarsi con quello che succede in Ucraina solo perché è un Paese più limitrofe all’Europa. Parlo dal punto di vista dei governanti europei non dei cittadini, che troppo a lungo hanno tollerato un paese autoritario con un leader autoritario che ha leso continuamente i diritti del suo popolo e non solo. Sarebbe stato necessario agire per tempo. 

Luca Amodio