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Il bello di essere tornati a teatro. La ripartenza delle «stagioni» in Valdichiana: quanti spettacoli

Due anni, due lunghi ed interminabili anni fatti di mancanze e attese. Fari spenti, voci assenti e applausi negati, camerini spogli, sipari chiusi e muti foyer. Due anni di deserto che rimarrà scolpito nei ricordi degli artisti, operatori del settore e spettatori. «Un mondo senza arte è come un mondo senza sole» scriveva Enrico Hasson e così il sole ad un certo punto è tornato a scaldare e i teatri hanno ripreso vita. 

Cautamente si accendono le luci e le stagioni teatrali riprendono il proprio corso. Ma si tratta veramente di una favola a lieto fine, dove tutti vivono felici e contenti una volta sconfitto il male? 

Devo dire che scambiando due parole con gli operatori del settore, il quadro che ne è emerso è alquanto diverso da quello che, da inguaribile romantica, mi aspettavo. 

Si può tranquillamente ammettere che i risultati non sono stati soddisfacenti e la causa non va cercata dentro un’offerta poco invitante, visto i nomi altisonanti che tutti i teatri del nostro territorio hanno riportato nei propri cartelloni, ma all’interno di quella parola che da due anni a questa parte è diventata di uso corrente: Covid.

A Cortona, come ci spiega l’assessore Attesti, nonostante il totale sold out degli abbonamenti, l’aumento di contagi durante la prima parte della stagione ha dimezzato le presenze al Teatro Signorelli. Tra spettatori realmente ammalati e spettatori impauriti, alcune rappresentazioni, programmate per il periodo natalizio, hanno riportato un calo importante di presenze. Stessa sorte per il teatro Mario Spina e per il teatro Verdi di Monte San Savino. 

Silvio Orlando, protagonista al Teatro Signorelli

Massimo Ferri, direttore dell’Officine della cultura, ci racconta che per ovviare all’incognita numerica, il teatro Verdi aveva adottato un sistema chiamato «Dei tre Carnet», una formula che dava possibilità allo spettatore di acquistare un pacchetto di tre spettacoli, con date ravvicinate nel tempo, anzichè un unico pacchetto comprensivo di tutti gli spettacoli. Un opzione vincente sulla carta, un po’ meno nella realtà: nessuna rappresentazione ha, infatti, mai registrato il sold out e il numero di spettatori si è sempre aggirato intorno al 35% della capienza massima. Il fenomeno della poca affluenza a teatro è stato un problema che ha investito tutta Italia. Un fenomeno che, come ha dichiarato Luca Ricci, gestore del teatro 

Mario Spina, ha colpito pure il settore cinematografico.

Se a teatro i numeri sono stati inferiori a causa dei contagio, del distanziamento, delle mascherine e della paura di venire infettati, il cinema ha risentito pure del fenomeno Netfilx. La pigrizia sviluppata in tempo di covid, la possibilità di gustarsi un film comodamente dal divano di casa sgranocchiando pop corn, proibiti nelle sale cinematografiche, ha influito negativamente. Lasciando da parte il cinema, che meriterebbe un discorso a sé, e tornando a parlare di teatri, è interessate approfondire il discorso progetti e rassegne che le associazione «L’Ulcera del Dottor Wilson» e «Officine della cultura» hanno messo in atto in questo periodo post-covid. 

Queste due realtà, che operano in modo distinto e separato, hanno ideato progetti di educazione teatrale e rassegne giovanili allo scopo di istruire lo spettatore, coinvolgendolo in percorsi didattici, studio dei testi e molto di più. Un percorso che parte dal basso per gettare le fondamenta di una cultura teatrale che porta nelle sale un pubblico più consapevole e qualitativamente preparato.

Francesca Scartoni