di Luca Amodio e Francesca Scartoni, foto di Giulia Barneschi
In occasione dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, abbiamo assistito a un solenne valzer di aforismi, interpretati da tanti personaggi politici, persino dai più grammaticalmente scorretti. Intanto che citavano impettiti (non a memoria s’intende), i versi del Sommo Poeta – fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza! – la scuola pubblica cadeva su sé stessa come un castello di sabbia colpita (dal covid19) e affondata (dalla DAD). Pacificamente, seppur non serenamente, possiamo scrivere che dopo la sanità, il mondo dell’istruzione sia stata l’istituzione più colpita dalla pandemia e dell’improvvisazione dei governanti. Non è un caso che, l’anno scorso, un reportage de Le Monde metteva in contrasto la politica svedese del «le scuole saranno le ultime a chiudere e le prime a riaprire» e quella italiana che, già dei primi giorni di circolazione del virus, aveva mandato a casa i propri ragazzi. L’epopea – pardon, la disavventura – dei maturandi è nota e non ci torniamo su. Ciò che ci interessa è invece capire se, da questa congiuntura negativa, si siano colti degli spunti su come rimodellare le scuole secondarie di secondo grado in ottica più digitale, solidale e reattiva rispetto alle domande del mondo del lavoro.
Partiamo da una constatazione: la DAD non si è rivelata un valido sostituto della tradizionale lezione in presenza. Come puntualizza il neo preside del Liceo Scientifico Giovanni da Castiglione, Sauro Tavarnesi, non si può banalmente equiparare il ruolo dell’insegnamento al mero trasferimento di nozioni «il nostro lavoro è un lavoro di comunicazione che può essere pienamente condotto soltanto vis a vis, con il dovuto atteggiamento e anche con le dovute movenze e poi: come si può percepire se c’è un clima di attenzione da parte degli studenti se abbiamo davanti uno strumento asettico come il PC? Per non parlare di tutti i problemi di connessione che inevitabilmente impediscono una concentrazione costante».
Ecco, tanto per rimanere nel lessico sanitario la DAD è stata uno strumento «tampone» da impiegare obtorto collo. Anche il rappresentante degli studenti dello stesso istituto sostiene la stessa linea, «la scuola è un ambiente di relazioni e confronto e con la Dad ci siamo resi conto di quanto fosse importante andare fisicamente a scuola». Tuttavia, da questa parentesi negativa, alcuni spunti per la scuola del domani ci sono eccome. Edoardo Neri, sindaco dei ragazzi dell’ITE Laparelli, lancia uno spunto «la Dad può essere utile per permettere agli assenti di non perdere le lezione oppure per un percorso di orientamento universitario evitando di spostarsi, ovviando quindi a spreco di tempo e denaro». E anche Giulia Pacelli, sempre dell’istituto cortonese, lascia un suggerimento: «l’utilizzo di questi strumenti tecnologici ci sta tornando utile anche adesso: basti pensare al fatto che i professori continuano ancora oggi a inviarci materiali necessari per le lezioni tramite applicazioni come Classroom e We school». Inoltre, secondo Beatrice Capecchi, dirigente scolastica dell’Istituto Signorelli, la DAD può essere utilizzata nell’ottica della settimana corta «Il nostro liceo Artistico ha un totale di 35 ore settimanali, a differenza del liceo Classico che prevede un complessivo di 25 ore: ma integrando le ore con la DAD il sabato mattina, riusciamo comunque a svolgere tutte le lezioni dal lunedì al venerdì». Seppur con un rientro pomeridiano fino alle 15:45, i ragazzi accolgono positivamente questa formula: «dovrebbero applicarla tutti gli istituti, è un modo per consentire agli studenti di coltivare i propri interessi e i propri hobby».
Insomma, la DAD in tempi ordinari si è rivelata comunque sia una modalità interessante ed efficace per facilitare lo svolgimento dell’attività di insegnamento ma è lecito chiedersi: era necessaria una pandemia per implementare l’offerta scolastica con questi strumenti tecnologici e informatici che da anni sono disponibili e fruibili? Alessandro Artini, preside dell’ITIS Galileo Galilei di Arezzo e presidente regionale dell’ANP, svela ogni ipocrisia: «se avessi voluto sperimentare la DAD avrei dovuto ottenere il parere favorevole del collegio dei docenti, poi del consiglio di istituto e avrei dovuto poi convocare i sindacati. Le potenzialità della scuola italiana sono fattualmente sottovalutate e le risorse sono inespresse a causa della poca autonomia, in termini di autogoverno, e della troppa burocratizzazione delle scuole superiori». Anna Bernardini, preside dell’istituto dell’Omnicomprensivo Foiano e vice presidente Consorzio Abaco Arezzo ribatte a questa nostra provocazione, asserendo «il nostro istituto è stato antesignano nell’applicare moderna tecnologie nella nostra didattica laboratoriale ma è necessario sensibilizzare anche i docenti meno abituati a utilizzare le moderne strumentazioni»: Ma la preside «bacchetta» anche i ragazzi, «parlare di nativi digitali non significa affatto avere un uso consapevole con gli strumenti informatici: ecco perché organizziamo da due anni dei seminari sul corretto uso dei dei social che possono essere impiegati anche «non per gioco». I nuovi mass media sono uno strumento di lavoro e la scuola non può ignorarli».
Ma procediamo il nostro focus cambiando campo: in un mondo del lavoro che chiede sempre più intensamente e sistematicamente periti tecnici o, comunque sia, personale specializzato nelle cosiddette discipline STEM (scienza, tecnologie, ingegneria e matematica), è una scelta azzardata iscriversi a un liceo? O, forse, questo dovrebbe ridefinirsi in virtù delle esigenze esterne abbandonando la sua autentica fisionomia gentiliana? E ancora, gli istituti tecnici e professionali, dovrebbero invece addolcire alcuni propri connotati con insegnamenti umanistici per creare gli studenti alle sfide trasversali che incontreranno in un mondo tutto da decifrare? Il dottor Tavarnesi è convinto che il modello liceale sia ancora vincente «Parlare ai ragazzi di Schopenhauer non lo si può considerare obsoleto! Le materie che studiamo sono fondamentali e anche un liceo può tenere il passo con i tempi se al suo interno inseriamo strumenti tecnologici innovativi. Nel nostro istituto abbiamo inserito un osservatorio astronomico che permette agli studenti di integrare lo studio della fisica quantistica. La forza di un liceo risiede nella capacità di portare i ragazzi ad avere una maggiore consapevolezza di sé stessi e delle proprie risorse». Anche Andrea Valentini, rappresentante d’istituto, rimane sullo stesso binario: «da una parte servirebbe un riscontro pratico delle conoscenze teoriche, magari fare una visita agli Uffizi dopo averne studiato le opere così da facilitare lo studio che diventa anche più divertente e appassionante; d’altra parte non possiamo rinunciare al nostro bagaglio umanistico, indispensabile per comprendere la realtà e ragionare anche in maniera «diversa» rispetto certi luoghi comuni».
Anche i compagni del Signorelli di Cortona, reclamano a gran voce la dignità del proprio piano di studi, «non si può etichettare come obsoleti studi che formano la persona, conferendogli elasticità mentale, a prescindere dalla facoltà universitaria che verrà scelta», ci dicono Carlo Andrea Lucani e Alessandra Cittadini, rappresentanti del Classico. La preside Capecchi sostiene addirittura un’esportazione della filosofia e della storia dell’arte in altri istituti «Viviamo in un paese traboccante di bellezze che occorre valorizzare, non comprendo la scelta di rimuoverle dal piano formativo o di ridurre l’orario nelle scuole dove sono materie di indirizzo. Viceversa va però detto che i licei devono affinare l’insegnamento delle materie scientifiche e credo che sia un bene, anche per un classico come il nostro, investire sulla biomedica e sulla opportuna strumentazione tecnica e informatica». Ma non si può nemmeno sostenere che siano soltanto le discipline classiche a monopolizzare le cosiddette soft skill, ci fa monito Bernardini «basta pensare al lavoro al disegno tecnico che facciamo con il CAD, ma oltretutto ai nostri ragazzi facciamo corsi di imprenditorialità creativa che serve tantissimo all’interno delle aziende che sono alle prese con il marketing o con la costruzione di modelli. Il Preside Artini, un sociologo al vertice della più grande fucina di tecnici della provincia, è cauto «il sapere umanistico va pari passo con il sapere umanistico, va detto, ma far spazio alla storia della filosofia dovrebbe andare a discapito delle materie di indirizzo, dunque si tratterebbe di una scelta sbagliata» C’è però un punto a favore dei tecnici: qui si studia anche economia e diritto mentre nei licei non c’è traccia di queste materie a dir poco fondamentali. La sentenza di questo paragrafo è inequivocabile: i licei si stanno lentamente tecnicizzazione, seppur coerentemente con la propria identità, mentre i tecnici e professionali rimangono tali ma sperimentando una maggiore intraprendenza.
Ma veniamo al capitolo «caldo», quello dell’alternanza scuola lavoro. Qualche mese fa nella nostra inchiesta sulla disoccupazione giovanile nella provincia di Arezzo, alcuni imprenditori avevano evidenziato come la suddetta formula fosse, seppur nel principio giusta, insufficiente per formare un giovane in vista di una futura occupazione. Come si può colmare questa discrasia? Secondo Bernardini, è bene iniziare per tempo la propria esperienza lavorativa prendendo spunto dal modello tedesco «Nel nostro istituto ci sono già 20 studenti che in parallelo alla loro formazione scolastica sono già al lavoro come lavoratori (e non come semplici stagisti) nell’ottica di un apprendistato di primo livello. E’ un percorso che iniziamo già dalle classi dalle quarte, dopo almeno un anno alle prese con quella che si chiamava alternanza scuola lavoro, oggi guadagnano dai 300 ai 500 euro al mese, anche 600 talvolta».
Il modus operandi della Germania non convince Artini: «la scuola deve formare in un’ottica a 360 gradi: si può insegnare l’utilizzo di una macchina ai propri studenti ma poi questa diverrà obsoleta dopo qualche anno. La scuola deve stimolare una mentalità atta all’apprendimento costante e sistematico piuttosto che alla formazione specialistica. Invece, rispetto ad una modifica qualitativa, perché non un aumento quantitativo del monte ore dedicato alla DAD?».
Ma ai licei, qual è il giusto orientamento formativo da proporre? «Ci sono moltissime occasioni nel nostro territorio, basti pensare al cosmo di musei, enti e associazioni culturali che spalancano le porte ai nostri stagisti», ci dice Capecchi. Va però anche detto che in molti casi, da certe attività di tirocinio, emergono feedback negativi in quanto spesso i ragazzi vengono rilegati a mansioni rispetto le quali non c’è alcun riscontro formativo: quante volte abbiamo sentito «allo stage preparavo il caffè e facevo le fotocopie?». Secondo la preside è una problematica arginabile attraverso una pianificazione più accurata «se mando un ragazzo del tecnico economico ad uno studio commercialista è molto probabile che questo sia sempre impegnato e seguito perché il lavoro non manca mai, tuttavia la scuola deve evitare di pianificare i tirocini durante i periodi in cui gli enti che accolgono i ragazzi hanno delle scadenze o degli impegni pressanti che impediscono loro di seguire gli stagisti».
Insomma l’alternanza scuola lavoro è una risposta necessaria ma non sufficiente per fronteggiare le esigenze provenienti dalle aziende. A questo proposito occorrerebbe forse, oltre ad un incremento quantitativo, ripensare la fisionomia dei tirocini senza andare però a snaturare quella preparazione generale che caratterizza la nostra scuola: insomma trovare una «via italiana» anziché copiare il modello continentale. Servirebbe poi un maggior coinvolgimento attivo degli studenti, permettendo loro una maggior libertà di scelta nella destinazione – e magari anche permettere loro di cambiare in itinere ove ci si accorge che non si fa formazione – così da pensare lo stage effettivamente come un momento che incide veramente sul proprio futuro.