E’ evidentemente un tema spinoso. Tra accuse di maschilismo e patriarcato e controaccuse di «politicamente corretto» e «buonismo», ci si incendia facilmente, sia nei salotti televisivi che al bar in quella che pareva un’innocente chiacchierata del sabato sera. Le pari opportunità di genere sono diventate una questione primaria nell’agenda politica (e meno male, ndr) ma anche l’opinione pubblica pare alquanto interessata al dibattito, specie sui social dove l’argomento appare evidentemente in trend. Ricordate l’anno scorso a Sanremo quando Beatrice Venezi dichiarò di preferire il titolo direttore d’orchestra e non direttrice? La polemica sulla possibilità di un agente 007 donna? E quando Aurora Lenne venne cacciata dalla partita del cuore perchè «le donne non possono giocare a calcio?» Insomma gli esempi sono tanti ma nelle prossime pagine cercheremo di circoscrivere il fuoco dell’analisi sulla parità di genere all’interno delle istituzioni, seppur consci che il discorso non si può limitare e ritenere esaurito guardando alle «stanze del potere».
Assessore o assessora? Il primo dilemma da sciogliere: ebbene, non tutti i vocabolari riconoscono il termine al genere femminile ma le parole sono importanti e noi lo useremo lo stesso quando la nostra interlocutrice sarà d’accordo. «Dettagli piccoli ma importanti, nessun problema se vengo chiamato assessore, ma penso che in molti casi sia fondamentale usare il femminile in tante circostanze», ci dice Elena Bigliazzi, assessora alle pari opportunità del comune di Foiano della Chiana. «A inizio anno, abbiamo approvato in giunta il piano delle azioni positive che riguarda la parità di genere e la discriminazione di genere all’interno delle pubbliche amministrazioni. Un atto simbolico, certo, ma importante. Per quanto concerne invece le azioni effettive poste in essere dall’amministrazione, abbiamo introdotto flessibilità negli orari di entrata e di uscita negli uffici perché spesso le attività domestiche incombono ancora soprattutto sulla donna. Sempre in questa ottica, nell’era pre covid, abbiamo allargato l’orario di ingresso negli asili nido dalle 7:30 alle 17:30, in aggiunta a un mese extra rispetto l’orario scolastico in cui la struttura scolastica rimaneva aperta. Ancora inserito nel quadro delineato, “La casa di Pinocchio” è un altro progetto assistenziale rivolto a diversamente abili che consiste nel svincolare da altre attività di cura, che possono essere anche malattie e indigenza».
Il fatto che in un’inchiesta sulle pari opportunità si parli di misure di welfare non deve sembrare fuori luogo: specie in Italia. Difatti, l’architettura del nostro sistema economico, a differenza dei paesi scandinavi che rappresentano un po’ il benchmark dell’Unione Europea, è particolarmente improntata sulla famiglia, intesa come istituzione che elargisce servizi di cura quali l’accudimento di anziani e bambini. Attività che ricadono culturalmente, quasi esclusivamente, sulla donna che è così costretta ad abbandonare la vita professionale per dedicarsi a tempo pieno agli affari domestici. Per ovviare questo problema sociale-culturale, ma pragmaticamente anche economico visto lo spreco di risorse umane, nei paesi del Nord Europa, sono strutturalmente messe in atto misure volte a defamiliarizzare i servizi di cura, svincolando la famiglia, in ultimo la donna, da certi oneri, affidati invece a istituzioni pubbliche. Come sottolinea nella Relazione per paese relativa all’Italia 2020 della Commissione europea, il tasso di inattività delle donne attribuibile a responsabilità di assistenza è in continua crescita dal 2010, complice una mancanza di servizi di assistenza adeguati. Vediamo, nel loro piccolo, quali misure possono mettere in atto le amministrazioni locali.
Anche Leonardo Magi, assessore a Marciano della Chiana, è profondamente convinto che sia necessario intervenire soprattutto sul tempo libero, «le macroaree ci avvertono che siamo il fanalino di coda dell’Europa in termini di distribuzione dei lavori domestici con la conseguenze che le donne siano spesso costrette a passare le giornate entro le quattro mura di casa. Come Comune abbiamo introdotto alcuni giorni a settimana in cui la biblioteca rimane aperta così da garantire uno spazio extra sorvegliato nel pomeriggio». Magi, che ha anche la delega all’assessorato allo sport, ha presentato al Ministero delle politiche giovanili un piano da sessantamila euro per mettere in atto un percorso scolastico che non sia il tradizionale doposcuola ma basato sull’attività fisica. Alcune iniziative ovviamente richiedono oneri finanziari cospicui a carico dei comuni e proprio qui si inseriscono i fondi stanziati dal PNRR, «Con i soldi del piano sarebbe utile magari costruire anche un asilo comunale, visto che nel nostro territorio esiste solo uno privato». Ma un Comune, anche con bilancio attivo, cosa può effettivamente fare per favorire la pari opportunità? Si possono certamente mettere in piedi azioni di stampo culturale, basate sulla prevenzione e sensibilizzazione, si può aprire un centro antiviolenza, ma chi dovrebbe fare qualcosa è il governo e la Regione, non solo atti di indirizzo astratti e di caratteri generali.
Sulla stessa linea d’onda anche il Comune di Castiglion Fiorentino che, consapevole dei buoni risultati di alcuni campi solari estivi, come l’Archeocampus, sta valutando di proporre simili progetti anche nelle feste invernali quando le scuole saranno chiuse. Ce lo spiega Stefania Franceschini, assessore alle pari opportunità del comune di Castiglion Fiorentino, che ha nei mesi scorsi approvato un nuovo regolamento della Commissione per le pari Opportunità, «Per la prima volta, infatti, sarà prevista la partecipazione di diritto, all’interno della Commissione, di due insegnanti in rappresentanza degli istituti scolastici, uno gli istituti comrpensivi e uno per i licei, presenti nel nostro territorio, così da garantire una proficua collaborazione per la promozione di una cultura delle pari opportunità tra uomo e donna in ogni ambito, specie in quello educativo». Inoltre, chiosa Franceschini, «siamo felici di ospitare sul nostro territorio due squadre femminili di rugby e di calcio: lo sport è un veicolo importante per diffondere certi principi e abbattere certi stereotipi bigotti».
Gli fa eco Matteo Scarpelli, assessore alle politiche sociali di Lucignano, che è convinto che la battaglia sia da intendere anche come di matrice culturale e su questo retroterra vada combattuta, «Ogni comune deve essere esaminato in ordine alle sue peculiarità ma a mio avviso nelle sedi di una conferenza integrata, così da discutere sui mezzi da adottare. Penserei soprattutto a discorsi formativi negli istituti scolastici sotto forma di workshop, come sulla facilitazione all’accesso al lavoro e all’avviamento alla professione, ma anche su misure di welfare così da consentire alle famiglie di avere più tempo libero».
è indubbio che nella nostra mentalità siano fissati degli stereotipi e la scuola è un’istituzione in prima linea per l’abbattimento di questi, l’esempio che gli insegnanti possono somministrare ai ragazzi è un’arma potentissima, spiega la preside Maria Corbelli. «Siamo in prima linea quotidianamente per dare a bambine e bambini la stessa educazione. L’istituto comprensivo di Castiglion Fiorentino ospita alunni provenienti da famiglie di tante nazionalità e culture diverse che rendono più complesso questo compito, ma possiamo contare sui progetti Oxfam come risorsa».
LE IMPRESE FEMMINILI Alla metà del 2021 avevano complessivamente sede nella provincia di Arezzo 8.704 imprese femminili (imprese in cui la partecipazione di controllo e proprietà è detenuta in maggioranza da donne), in diminuzione dell’1% rispetto al 2020.
Nel loro complesso le imprese in rosa rappresentano il 23,6% del totale delle imprese aretine. I settori in cui la presenza femminile è più elevata sono il commercio, in cui opera poco meno di una impresa femminile su quattro (2.007 imprese, 23% del totale), l’agricoltura (1.678 imprese, 19% del totale), il manifatturiero (1.118 imprese, 12,8% del totale) e le altre attività di servizi (923 imprese, 10,6% del totale). I settori in cui le imprese femminili hanno peso più elevato sono: le altre attività di servizi in cui rappresentano oltre la metà delle imprese del settore (58,9%), sanità e assistenza sociale (39,2%), i servizi di alloggio e ristorazione (31,7%)e istruzione (31,2%).
Fra i principali settori, quelli che hanno contribuito a determinare il segno negativo della variazione rispetto al 2020 sono: agricoltura (-1,8%), manifatturiero (-0,9%), commercio (-1,4%), servizi di alloggio e ristorazione (-1,7%) e altre attività di servizi (-0,4%).
I settori che invece hanno permesso di limitare le perdite fanno praticamente tutti parte del terziario: attività finanziarie e assicurative (+5,5%), attività professionali e tecniche (+5,3%), servizi informazione e comunicazione (+2,6%) e trasporti (+2%).
fonte: Camera di Commercio Arezzo-Siena
Ma ci insegna la sociologia, per comprendere le disuguaglianze, non basta soltanto guardare la politica: occorre anche e soprattutto guardare la sfera economica. Le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro si intensificano. Il tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro è del 53% in Italia, contro una media europea del 67,4%, Inoltre, c’è un divario notevole nel tasso di occupazione, che nel 2019 toccava circa 19,8 punti percentuali. Andando a focalizzare lo sguardo nella provincia aretina i dati della Camera di Commercio di Arezzo-Siena ci paiono fondamentali per quadrare il cerchio.
L’occupazione femminile 20-64 anni sfiora il 64% nel 2020, oltre 16 punti percentuali in meno rispetto il tasso maschile, divario che si è acuito con la pandemia considerando che nel 2019 lo scarto era del 13%. Forbice che si stringe però se si guarda l’occupazione nelle fasce più giovani 15-29 anni dove quella femminile tocca il 29% rispetto uno scarso 43% per gli uomini. Il tasso di disoccupazione invece registra una curiosa diminuzione nel biennio 19-20 di quasi un punto percentuale per la popolazione femminile over 15, rispetto a una variazione di uguale intensità ma di segno opposto per la disoccupazione maschile, attestandosi entrambi intorno al 7%. Se si guarda alla fascia compresa tra i 15 e i 29 anni, si nota tuttavia un incremento importante: si passa dal 15,3 al 20,8% in termini di disoccupazione. Cosa ne deduciamo? Considerato che il tasso di occupazione esprime gli occupati sulla popolazione in età lavorativa, e qui c’è la discrasia più elevata, e che il tasso di disoccupazione ci dice quanti sono i disoccupati tra chi è in cerca di un’occupazione, e qui i dati sono sostanzialmente analoghi per uomini e donne, possiamo concludere che le donne partecipano di meno al mercato del lavoro, verosimilmente proprio perché spesso monopolizzate dalle attività entro le mura domestiche.
Interessante è anche guardare alle posizioni di vertice. Alla metà del 2021, le imprese femminili la cui partecipazione di controllo e proprietà è detenuta in maggioranza da donne erano 8.704, pari al 23,6% delle imprese aretine. I settori in cui la presenza di imprese femminili è più elevata sono il commercio, in cui le imprese rosa sono poco meno di una su quattro, l’agricoltura e il manifatturiero. Per quanto concerne invece i servizi, le attività femminili sono concentrate soprattutto nei servizi di ristorazione, nelle attività immobiliari e anche nell’ambito dei servizi turistici come nelle agenzie di viaggio. Rispetto al 2020, le imprese in rosa sono diminuite dell’1%: fra i principali settori a determinare l’esito si annovera l’agricoltura, il manifatturiero, commercio, servizi di alloggio e ristorazione e altre attività di servizi. Invece, i settori che hanno permesso di limitare le perdite fanno praticamente tutti parte del terziario: attività finanziarie e assicurative, attività professionali, tecniche, servizi informazione e comunicazione e trasporti.
Tuttavia è interessante leggere anche alcune statistiche sul lungo periodo, ovvero nell’intervallo di dieci anni: il numero di amministratrici dal 2010 è aumentato gradualmente passando da un valore assoluto di 6684 a 7141. Tuttavia se si guarda alle socie e alle titolari il numero diminuisce progressivamente passando rispettivamente da circa 3700 a 2900 e da 5800 a 5400. I dati evidenziano che le posizioni di vertice occupate da donne sono sempre maggiori ma lo stesso non si può dire delle altre titolari di carica. Inoltre, le posizioni apicali occupate da uomini sono ancora nettamente predominanti e a questo corrisponde uno svantaggio salariale a parità di ruolo e mansione svolta. Per non parlare, in aggiunta a queste discriminazioni indirette, tutte quelle dirette quali sono i non sparuti episodi di bullismo e sessismo «catcalling, mobbing, ecc…».
Tuttavia nel cosmo imprenditoriale aretino, le «big» ci sono eccome. Pensiamo a Ivana Ciabatti, fondatrice di ItalPreziosi, azienda che nel 2020 ha fatturato 6 miliardi e mezzo. Ma anche spostandosi alle associazioni di categoria, non mancano posti al femminile: segnaliamo Edi Anasetti vice direttrice di Cna Arezzo; Valeria Alvisi, direttrice di Confesercenti; Alessandra Papini, segretaria provinciale di Confartigianato; Lidia Castellucci, presidente di Coldiretti Arezzo e Silvia Russo, segretaria della Cisl. Nelle altre istituzioni aretine, non possiamo esimerci dal segnalare la nuova prefetta Maddalena De Luca, l’ex comandante della compagnia di Cortona, la capitana Monica Dallari e la giovane Giulia Soldini, coordinatore dell’ufficio Gip del Tribunale di Arezzo. Venendo alle istituzioni sanitarie, tra coloro le quali ricoprono incarichi dirigenziali, si citano Barbara Innocenti, direttrice del San Donato, Vianella Agostinelli, direttrice del partito infermieristico ostetrico e Anna Beltrano, responsabile della campagna vaccinale.
Insomma le pari opportunità di genere sono evidentemente una sfida trasversale, la quale per la sua poliedricità, va affrontata sotto varie lenti. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, a questo proposito, ribadisce che la ripartenza del paese deve dare pari opportunità ai cittadini, specie coloro che non esprimono oggi pienamente il loro potenziale, a causa di discriminazione di genere. Ciò, si legge nel documento, non è soltanto un problema dal punto di vista individuale, bensì anche un significativo ostacolo di carattere economico, in quanto inibiscono il corretto funzionamento di un sistema meritocratico. Tutte le lacune che abbiamo espresso in queste pagine si ritrovano nel PNRR e così anche interessanti soluzioni. Ma siamo profondamente convinti che il problema rimarrà tale fino a quando non se ne prenderà atto in diurna assunzione di responsabilità.
Luca Amodio
Foto di Giulia Barneschi