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Miraggio digitale, la pubblica amministrazione ha ancora bisogno di una forte cura informatica

Tra smart working e DAD, tra aperitivi in videochiamata e tutorial di cucina on line, i lunghi mesi di lockdown li abbiamo essenzialmente vissuti davanti ad una webcam: ormai, come si suol dire, è tutto a portata di click. Che questa conversione digitale sia stata una passeggiata ci pare una barzelletta: chi non ha avuto un Professore che non sapeva condividere lo schermo con i suoi studenti durante la didattica a distanza? Chi, più semplicemente, non ha avuto problemi di connessione? Ignoranza, nel senso non dispregiativo di «essere inconsapevoli di qualcosa», ed effettiva mancanza di strumenti (rete gratuita e veloce, computer di altre ere geologiche, ecc…), ci paiono due aspetti complementari da analizzare per comprendere come mai, instagram a parte, i nostri device siano diventati per qualcuno un vero e proprio incubo. Guarda caso, l’Italia è al 24esimo posto su 27 Stati Membri, in una classifica che tiene conto sia delle competenze digitali sia l’adozione di tecnologie avanzate. Insomma, la pandemia ci ha messo dinanzi al problema, ma adesso quanto siamo digitalizzati? Spoiler: poco.

Non è un caso che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, fissi come «Missione 1» proprio la digitalizzazione e l’innovazione a cui sono destinati più di 30 miliardi di euro. Il governo individua come priorità assoluta l’offerta di una connettività omogenea ad alta velocità in tutto il paese per residenti, aziende, scuole e ospedali, da conseguire attraverso le tecnologie più avanzate (fibra, FWA, 5G). 

«Il famigerato Piano Nazionale Banda larga nasce al MiSE più di 10 anni fa e la sua ambizione oggi fa sorridere: entro il 2020 si mirava ad una copertura totale del territorio, oggi siamo a meno del 70%; mentre per la ultralarga a fronte di uno stimato 85%, abbiamo una diffusione del misero 27%», ci spiega Gioele Meoni startupper e consigliere comunale con delega all’innovazione del comune di Castiglion Fiorentino. Oltretutto va detto che la banda larga (30 megabit al secondo) non rappresenta un punto di arrivo viste le attuali necessità. Per andare in streaming, ad esempio con la DAD, già se abbiamo due computer connessi, la linea potrebbe verosimilmente sfumare. Chiariamo che i Comuni non hanno oneri, essi debbono soltanto autorizzare i lavori, il finanziamento è a carico dello Stato e del consorzio «oper fiber». Di conseguenza, se alcune zone periferiche di alcuni comuni, non sono ancora coperte da fibra è spesso perchè altri comuni hanno la priorità perchè magari interamente privi.

Poter contare su connettività diffusa e funzionante è evidentemente la premessa necessaria per tutti gli altri punti del documento, come l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione che, proprio rafforzando l’identità digitale e i relativi servizi PagoPA, Spid, IO, potrebbe finalmente snellire alcune procedure burocratiche. In questo contesto, si colloca la transizione degli uffici comunali entro la quale si sta abbandonando il tradizionale quanto desueto software fisico in loco (magari un hard disk) per passare ad un cloud comune. Ciò significa snellire tempi ordinari tra uffici, banalmente anche il passaggio di una pratica cartacea, così come consente un maggiore dialogo tra enti diversi, nazionali e locali, quali possono essere i comuni e la regione. 

«Un sistema del genere è stato impiantato nelle scuole attraverso un centralino cloud che rispetto al classico, in cui rispondeva un operatore scolastico che poi ti passava il professore, fa sì che anche l’insegnante che magari è a casa in quel momento possa direttamente essere contattato», spiega Meoni. La pandemia ha accelerato questo passaggio comprimendolo in pochi mesi vista la necessità di lavorare in smart working, «E’ stato necessario fare dei veri e propri corsi di formazione per il personale, soprattutto perchè lavorare con un cosmo di connessioni anziché con un’unica chiusa, quelli degli uffici comunali, implica un problema di sicurezza diffusa, che ricade su ogni device e utente», prosegue l’esperto. Infatti, piuttosto che in falle nel software stesso, la sicurezza informatica spesso è messa a repentaglio da errori di chi lo utilizza, ovvero dalla scarsa preparazione del personale. D’altraparte, va detto che la migrazione verso un sistema cloud, a fronte dei rischi umani anzidetti, conferisce però maggior sicurezza al software in quanto tale «la cui incolumità non sarà più demandata ad un tecnico comunale bensì si passa la palla ad un profilo ad hoc a livello nazionale, formato propriamente sulla sicurezza informatica», conclude Meoni. 

Ma i nostri Comuni quanto sono digitali? Innanzitutto, anche con un rapido sguardo, non possiamo constatare che i siti web di questi sono abbastanza standardizzati in termini di architettura digitale. La ratio di questa uniformità risponde a principi di accessibilità quanto di trasparenza che di concerto vennero richiesti vuoi dalle direttive dell’Unione Europea, vuoi dai protocolli delle Autorità Garanti, vuoi soprattutto dalle circolari ministero degli interni. I comuni più grandi della nostra vallata, Cortona e Castiglion Fiorentino, sono quelli il cui profilo on line si divarica in un portale istituzionale in un portale turistico (come Cortona Eventi e Convegni), Inoltre, per Castiglion Fiorentino, va segnalato anche il portale «Experience», un nuovo circuito digitale per il turismo, e la possibilità di scaricare dallo storo l’app «my castiglion Fiorentino». Ideato per innovare i servizi ricettivi ed aumentare la visibilità online delle strutture. Per quanto riguarda il sito istituzionale, in questa schermata è possibile prendere visione degli uffici, degli orari, degli organi e dello Statuto, delle gare e delle delibere, dei servizi al cittadino e della modulistica. Nella sezione turistica è invece possibile consultare gli eventi e le manifestazioni organizzate dall’amministrazione come dalle associazioni nonché consultare le principali informazioni turistiche quali sono la cultura, la storia e l’arte del territorio. 

«Io non so come si combatterà la terza guerra mondiale, ma so che la quarta si combatterà con pietre e bastoni», diceva Einstein che sicuramente non poteva di certo andare a pensare che un domani si sarebbe parlato di offensive informatiche. Un’immagine che ci è sempre sembrata una distopia degna di Huxley o qualcosa di molto lontano (ricordate l’attacco cibernetico all’Estonia nel 2007?) ma che il recentissimo hackeraggio alla regione Lazio ha violentemente riproposto come evenienza a cui far fronte. «In verità, la cyber sicurezza è un problema generale in Italia, la cui cultura informatica è meno diffusa rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti, dove già nelle scuole dell’obbligo si viene sensibilizzati particolarmente in questo ambito. Da noi invece, la crescita informatica è stata molto veloce, la diffusione dei telefoni è stata gigantesca, ma non è avvenuta di pari passo alla crescita dei sistemi di sicurezza», ci afferma Marco Marcellini, esperto di cybersicurezza, specie nella normativa della privacy e dell’informatica forense, ovverosia quella applicata alle questioni con valenza legale.

La sicurezza cibernetica è per cui ormai una premessa necessaria per svolgere serenamente il proprio lavoro, vuoi che si lavori nel settore pubblico che in quello privato. «Anche in molte piattaforme locali, noi subiamo attacchi di continuo, magari dall’Egitto o dal Pakistan, anche se i dati geografici non sono assoluti perché l’hacker maschera sempre la sua provenienza. Per citare un episodio familiare, ricordate quando un giovane ragazzo delle scuole medie riuscì ad entrare su programmi comunali? Per fortuna, fu solo una bravata senza danni». Tuttavia nell’ultimo periodo le offensive si stanno andando a strutturare nella direzione, non più di mere azioni dimostrative, bensì di concretizzare dei veri e propri furti di dati, quali possono essere elenchi telefonici, dati bancari, file personali e tanto altro; «basta pensare che nel cosiddetto dark web, un gigante e illegale mercato digitale, è possibile acquistare la refurtiva tramite i famigerati bitcoin». 

 

D’altronde, tornando inevitabilmente a parlare di pandemia non possiamo esimerci dal constatare che un maggiore affidamento ai sistemi informatici è sfociato in una maggiore dipendenza da questi e, in definitiva, l’esigenza di porre enfasi sui «rischi del gioco» come si legge nel PNRR. L’attuazione definitiva di un «Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica» è la priorità issata dal governo che attraverso l’assunzione di nuovi profili preposti alla prevenzione e investigazione del crimine informatico e con l’implementazione di alcuni presidi cyber mira a debellare le sempre più frequenti minacce cibernetiche

Giungendo alle conclusioni, chiariamo che non bastano di certo queste pagine a condensare i motivi per cui questa sfida è definita come «un’enorme occasione per aumentare la produttività, l’innovazione e l’occupazione, garantire un accesso più ampio all’istruzione e alla cultura e colmare i divari territoriali». Un paese 2.0 è una risorsa trasversale ad ogni latitudine nella misura in cui renderebbe l’Italia più competitiva in tanti settori, dalla cultura e il turismo fino le infrastrutture energetiche e dei trasporti. Insomma, non sarebbe un vantaggio di nicchia, bensì un’autentica risorsa pubblica di cui ognuno può beneficiare. Ecco perché occorre rimboccarsi le maniche. 

di Luca Amodio e Chiara Sciarri

foto di Giulia Barneschi