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Al «Villaggio» i giovani scarseggiano. Un centro sportivo con tante potenzialità, ma servono investimenti

Una strada danneggiata e sconnessa, con qualche buca qua e là, qualche anziano che si gusta una partita di bocce chiedendosi che tempo farà domani, quattro ragazzetti che giocano a basket con il rischio di farsi male e un po’ di rifiuti sparsi. E’ questo il panorama di cui si gode entrando in quello che si chiama Villaggio del giovane, ma che alla fine, cosa abbia di giovane oggi dobbiamo ancora capirlo. 

Di fronte ad una risorsa, una ricchezza che apre le porte a chiunque, sorge spontaneo domandare perché si trovino per terra solo cartacce, bottiglie ed erbacce, ma meno facile è comprendere la risposta: «se non c’è gente – dicono i veterani- non ha nemmeno senso pulire». Beh, non dovremmo forse invertire questo senso di marcia? Perché non pensare piuttosto che è proprio dalla messa in atto di un’adeguata pulizia e sistemazione dell’area che possono essere attratte più persone? e forse, quello che nel cuore di Castiglion Fiorentino possiamo definire come un polmone verde, otterrebbe più fortuna rispetto a quella che tocchiamo entrandovi alle quattro di una domenica pomeriggio in pieno marzo. 

Guidandovi all’interno del villaggio troviamo un campetto da bocce estremamente utilizzato, ma se ci muoviamo verso quegli spazi che sarebbero adatti a far divertire i giovani, e non chi ha ormai una certa età, non troviamo nessuno. Per quale motivo, se ci spostiamo negli spazi giovanili, non troviamo nessun ragazzo che esulta durante una partita di tennis, mentre ci sono una dozzina di anziani a giocare a bocce? Siamo sicuri che questo possa essere definito il villaggio del giovane? 

Sappiamo bene e quindi premettiamo che «del giovane» stia a significare il fatto che chi lo avesse frequentato sarebbe rimasto sempre giovane, e infatti, non abbiamo dubbi che quegli anziani a chiacchiere di fronte al bar, sotto un sole che accenna aria di primavera, si sentissero bene e quasi giovani; ma qui il problema sta alla base: manca la presenza di gente che possa usufruire di tutti i servizi di cui il posto dispone. Certamente si tratta di una questione a cui è difficile trovare risposte esaustive senza addentrarsi in quello che è l’aspetto culturale-educativo che abbraccia l’odierna gioventù. I tempi sono cambiati, oggi i giovani raramente vanno al parco, è un dato di fatto, non sono educati e formati per questo, piuttosto si danno appuntamento sui social per poi intrattenersi di fronte ad un aperitivo in un bar del centro, e se praticano sport, sono ormai legati alle squadre locali e non, di cui fanno parte. Di fronte ad un mutamento dei meccanismi sociali giovanili e del contesto che li circonda, anche quegli ambienti hanno bisogno di trovare una nuova strada, trasformandosi e rispondendo alle richieste della società. 

E’ ovvio che sia difficile pensare al villaggio del giovane come un’area verde di incontro che controbatte alle stesse necessità per cui era stato costituito nel 1967, e proprio per questo, perchè non migliorare l’ambiente? O darne una nuova forma? Si potrebbe andare a sistemare quel campetto da tennis, dove «la pallina rimbalza molto male – ci dicono i giocatori- a causa dell’asfalto danneggiato», oppure creare un’area cani dato che, a quanto pare, portare un cane a passeggio in questa zona, diviene difficile per lo sporco che si trova in terra, ed è quindi facile capire il problema senza spiegare l’insistenza con cui gli animali tendono a fiutare e a mettere tutto in bocca. 

Per non parlare delle iniziative culturali e sportive che un ambiente come questo potrebbe accogliere. Ovviamente a tutto ciò dovrebbe essere accompagnato un sistema di controllo, di cura e di manutenzione. 

E allora a questo punto, il senso di marcia si invertirebbe, il posto diventerebbe più accogliente e la gente ne usufruirebbe. D’altra parte, c’è però chi potrebbe pensare che tutto questo non serva ad attirare gioventù, che ormai l’era del villaggio sia finita e che tutte queste opere siano solo soldi e finanziamenti impiegati a zero. In virtù di questo dovremmo quindi deterritorializzare il villaggio, dirgli addio e dare il via ad una riterritorializzazione volta alla creazione di qualcosa di diverso e maggiormente allettante. Distruzione, a volte, è sinonimo di rinascita, ma è quello che vogliamo? Trovare una risposta immediata e decisiva è complicato, ma nel frattempo possiamo rifletterci. 

Chiara Sciarri

foto di Giula Barneschi