Cortona, aperte le nuove sale “Gino Severini”. Taglio del nastro al Maec

“Avrei ancora molte cose da dire”: furono queste le ultime parole del maestro Severini, con un filo di voce che tornava prima di lasciarlo per sempre. Lo rammenta Romana Severini, figlia del pittore: “Le rivolse a mia madre”, l’amata moglie Jeanne, figlia del poeta Paul Fort e compagna di una vita. Romana Severini insieme alla storica dell’arte Daniela Fonti, ha curato con amore ogni dettaglio della mostra permanente aperta oggi nella città ci orgine del maestro, Cortona, città che lei stessa definisce magica e che oggi dona a lei la cittadinanza onoraria. La mostra è composta da tre sale, ciascuna con un focus: la famiglia, il museo immaginario e le opere religiose. Una nuova esperienza per il pubblico. Qualcosa che esiste solo qui. Nessun altro futurista infatti ha sale specificamente dedicate, e questo porta la città a una svolta storica, ma che contemporaneamente si incastona come un diamante nella sua anima e nel suo destino d’arte.

Prima sala: Cortona, la famiglia
Dedicata ai rapporti che l’artista ha avuto con la sua città natale e con la famiglia d’origine. Vi sono esposti, oltre alle due celebri opere Maternità e La Bohémienne, anche dipinti e disegni, soprattutto ritratti dei suoi familiari e poi della moglie e dei figli. Severini lasciò Cortona da giovane, per tornarvi nel 1935 con la moglie francese, alla quale desiderava mostrare la sua terra di origine; poi, negli anni della vecchiaia era solito trascorrervi lunghi periodi estivi. Correda il contenuto della sala un video con immagini legate alla biografia del maestro.

Seconda Sala: Il museo immaginario
Vi troviamo esposta una serie di xilografie, litografie e disegni che riassumono i suoi temi preferiti (figure di danzatrici futuriste e neofuturiste, nature morte cubiste, maschere della Commedia dell’Arte) mentre su grandi schermi è allestita una videoproiezione con immagini dei suoi capolavori dal 1903 al 1960, quel museo ideale di opere che nessuna istituzione al mondo potrà mai possedere. Un’ampia vetrina mostra i costumi di Arlecchino e Pulcinella (quest’ultimo cucito dalla moglie Jeanne nei primi anni Venti) di cui l’artista si serviva per i suoi quadri ispirati alle maschere della Commedia dell’Arte.”

Terza sala: L’atelier, le opere religiose
Divisa in due parti, presenta a tutta parete la ricostruzione dell’atelier dell’artista, con quadri, cavalletti, stoffe, la sua tavolozza e molti oggetti che gli sono appartenuti e che è possibile riconoscere nelle sue celebri nature morte degli anni ’50 e ‘60; la presenza in macrofotografia dell’artista con la moglie completa questo allestimento dal carattere immersivo. Autore della celebre Via Crucis cortonese (1945-1946) lungo via Santa Margherita, conclusa con il mosaico di San Marco – che apre idealmente l’accesso alla città – Severini ha reinventato l’iconografia sacra proiettandola nel Novecento. In questa sala un video mostra cartoni e immagini dei pannelli a mosaico (fotografie di Fotoclub Etruria), accompagnati dai disegni preparatori, mentre di fronte litografie e video ricostruiscono il suo ampio lavoro in pittura e mosaico per le chiese della Svizzera romanda. A fine percorso i grandi “Collage in ferro” che col Giano segnano la sua ultima stagione creativa.

Nella sala Medicea è inoltre visibile il documentario di Irene Pantaleo e Lia Polizzotti “Gino Severini. Bisogna far cantare i colori”, che ripercorre la vita e le opere dell’artista attraverso la testimonianza e il contributo scientifico delle curatrici e i filmati di repertorio storico.

“Troviamo qui le cose più intime del lavoro di mio padre e della vita, trascorsa fra Cortona, Roma e Parigi” racconta ancora Romana Severini.”Diceva ‘Devo far cantare i colori’ ed era questo il suo motto, l’espressione del suo sentimento. Vita e lavoro sono in lui intensamente fusi: solo due volte ha avuto lo studio e la casa separati. L’ultimo studio di Parigi aveva un soppalco; in una celebre foto i miei genitori appoggiati al grande tavolo da lavoro guardano in su, verso di me, che dormivo sul soppalco. Mio padre amava raccontarsi e Picasso gli diceva: ‘Non spiegare così tanto!’.

Sottolinea Daniela Fonti, co-curatrice: “Di tutti i firmatari del manifesto della pittura futurista solo Severini ha un museo dedicato. Il percorso di opere pittoriche, incisioni, disegni e litografie, sempre integrato dai video, che vi abbiamo allestito riesce a raccontare le linee fondamentali della sua storia d’artista non trascurando alcuno dei grandi temi che caratterizzano la sua pittura. Ovviamente i suoi capolavori futuristi si ammirano nei grandi musei: è l’artista italiano più rappresentato al mondo”.