Nonni a riposo, invecchiamento della società e nuovo modello di assistenza. La nostra inchiesta

In una lunga giornata di lockdown, mia nonna una volta mi disse: “almeno durante la guerra ci si poteva abbracciare”. Un’esternazione forte, senz’altro discutibile ma, dal suo sguardo, frutto di rabbia e di impotenza verso un nemico invisibile e per certi versi incomprensibile, che ci ha persino privato quel contatto con i nostri cari. Gli anziani, durante la stagione del Covid, sono state le grandi vittime, non solo da un punto di vista strettamente sanitario, bensì anche secondo un’ottica diffusa di emarginazione ed esclusione che ha causato loro delle evidenti ferite “dentro”. Non solo il dramma di nipoti che non potranno più stringere i loro nonni, ma anche la cicatrice di tanti nonni che non hanno potuto vedere i propri nipoti per lunghi mesi o che magari si sono dovuti dissuadere da un bacio per preservare la loro incolumità. In questa cornice, le RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), le case dei nostri nonni, sono per più di un anno diventate degli autentici mondi paralleli, esternati da tutto ciò che c’era là fuori per proteggere la salute dei propri utenti. Ma il prezzo da pagare è stato tagliere i ponti anche con la propria famiglia.

Facciamo innanzitutto chiarezza su alcuni punti rispetto i quali si fa confusione quando si parla di Rsa. Come ci spiega Milena Menchetti, direttrice della Residenza Santa Rita di Terontola, “le residenze sanitarie assistenziali non sono strutture ospedaliere bensì sociosanitarie dedite ad anziani non autosufficienti, un corpo intermedio tra ospedale e casa, possiamo dire”. E’ poi bene precisare che “le persone che entrano qua non lo fanno necessariamente per un tempo indeterminato bensì sono frequenti periodi determinati, di riabilitazione appunto”.  Difatti, che nel Progetto Obiettivo Anziani nazionale, approvato dal Parlamento Italiano nel 1992, la Rsa veniva definita quale «struttura extra-ospedaliera per anziani disabili, non assistibili a domicilio, abbisognevoli di trattamenti continui e persistenti, finalizzata a fornire accoglienza ed erogazione di prestazioni sanitarie, assistenziali, di recupero funzionale e sociale». 

A questo proposito, la Santa Rita di Cortona presenta oltretutto dei servizi all’avanguardia quali sono le terapie emozionali, non farmacologiche dunque, per coloro i quali sono affetti da una demenza importante: “Proponiamo all’utente affetto, con l’aiuto dei parenti, ciò che durante la vita lo ha emozionto in particolar modo. Ad esempio, la Doll Therapy, consiste nell’utilizzare una bambola che risvegliando l’istinto materno, o paterno, tranquillizza molto le persone magari affette da Alzheimer così come la musica, ascoltata tramite apposite cuffie”.

La Rsa di Terontola Alta, prima dell’era covid era felicemente nota per la sua vitalità e il suo brillante dinamismo “è un punto di forza affatto banale: un tempo ormai, amici e parenti potevano visitare gli ospiti quando volevano – ogni giorno, senza orario – fermarsi a pranzo con loro, venire alle tante feste che organizzavamo oppure portare i loro nonni a fare un giro e rientare senza alcuna fretta”, ci spiega Milena Menchetti, direttrice della struttura. Addirittura la residenza, aveva a disposizione un proprio pullman con il quale organizzare delle gite sul Lago trasimeno e a Santa Margherita: insomma c’era anche la possibilità di effettuare una “zingarata” come nel terzo atto di “Amici Miei” o, per essere più accademici, coltivare a fondo quella in sociologia si chiama “socializzazione della terza età”. Anche la Rsa cortonese, in gestione di Emmaus Spa, ha espiato nuovi metodi per permettere di mantenere quella prossimità – contatto, sarebbe un esagerazione controfattuale – tra ospiti e i loro cari: “Ci siamo mobilitati per permettere di tamponare quel distacco tra “dentro” e “fuori” attraverso, non solo un uso diffuso di chiamate e videochiamate, ma anche tramite delle visite, seppur separate da una vetrata per gli ovvi motivi di sicurezza. Ma la vera emozione è stato il caloroso abbraccio dopo una lunga carestia il giorno delle riaperture”.

Bisogna peraltro ricordare, che appena scoppiata l’emergenza sanitaria, molte Rsa sul territorio nazionale furono travolte da inchieste giudiziarie per non aver rispettato i protocolli sanitari e dunque aver cagioanto l’esplosione di focolai di contagio all’interno della struttura. Contestualmente, anche molti enti regionali, furono coinvolti per aver spedito pazienti affetti da Covid 19 nelle suddette strutture per ultimare la quarantena e liberare posti letto negli ospedali. Inoltre,  Nell’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, “Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie”, conclusa nel giugno 2020, si legge che su un totale di 9154 deceduti dal 1° febbraio, 680 erano risultati positivi e che 3092 avevano presentato sintomi simil-influenzali. 

A questo proposito, segnaliamo anche la “stanza degli abbracci” della Rsa Sernini di Camucia, inaugurata lo scorso Natale, ed una delle prime nate in Toscana. La residenza cortonese ha concepito, in un ambiente protetto e completamente sanificato, non solo la possibilità di far incontrare visitatori e ospiti, bensì anche di toccarsi e abbracciarsi attraverso dei “materiali morbidi” e dei manicotti. Un giorno speciale per chi, dopo quasi un anno ha potuto stringere a sé, chi non vedeva da sin troppo tempo. 

Stessa sorte che evidentemente ha toccato anche la Rsa comunale di Lucignano, la Arrighi Griffoli, che sempre aperta nel territorio ha dovuto a malincuore dire stop alle sue tante attività “prima dell’emergenza sanitaria venivano sistematicamente organizzate varie uscite nei luoghi limitrofi, sia con associazioni sia, ad esempio, con l’asilo nido: il scopo primario era mantenere questo contatto costante con il territorio, per imitare la vita quotidiana.

Oggi è infatti possibile accedere alle Rsa, ma solo previa esibizione di Green Pass come da normativa, ed è permesso abbracciare il proprio caro se si è risultati negativi ad un tampone nelle 48 ore precedenti, che però può esser “passato” dalla Regione Toscana. Ovviamente, tutto avviene comunque sia secondo le modalità più appropriate: “il personale provvede puntualmente a spalmare nell’arco della settimana i contatti con l’esterno, onde evitare assembramenti, ed ogni ingresso extra viene fatto igienizzare e gli viene registrata la temperatura corporea all’interno della struttura.” Ed è così che i 25 inquilini del plesso lucignanese, dopo una lunga astinenza, hanno potuto ri incontrare i loro cari, ciò anche grazie alla vaccinazione a cui sono stati sottoposti che è, oltretutto, diventata un requisito indispensabile per accedere alla Rsa. 

Rsa “Cosimo Serristori”, struttura pubblica con autonomia gestionale ma sotto controllo del comune di Castiglion Fiorentino, per bocca del Presidente Alessandro Concettoni (foto sotto) ci spiega come alla luce degli dell’emergenza sia possibile ripensare la fisionomia di questi enti, “le future Rsa dovrebbero essere erette prediligendo grandi aree, magari all’aperto, per la i momenti di socialità e, viceversa, optare per alloggi singoli”. Fortunatamente, alla struttura castiglionese gli spazi non mancano: né nelle stanze, più grandi rispetto i requisiti richiesti, né all’aperto dove il suggestivo chiosco di San Francesco permette di rilassarsi en plein air. D’altra parte, le strutture devono essere ricalibrate in funzione delle nuove criticità “ormai le Rsa, sono vere e proprie geriatrie, dovendo farsi carico di anziani con un quadro sempre più complesso: ed è per questo motivo che le tabelle riguardo il numero del personale necessario, debbono essere riviste secondo parametri che non sono più quelli di vent’anni fa. Insomma c’è bisogno di tanta più assistenza, non solo in tempo di pandemia”. 

Una necessità impervia a cui sarà necessario far fronte specie alla luce dei trend demografici che ormai segnalano un lineare invecchiamento della popolazione italiana: secondo la banca dati realizzata dal Garante nazionale per la geolocalizzazione delle strutture sociosanitarie assistenziali sul territorio italiano, nel 2020 le RSA in Italia sono 4.629, nel 2007 erano appena 2.475. “A questo proposito sarebbe interessante pensare di investire massicciamente su i cosiddetti co-housing, ovvero appartamenti progettati ad hoc per persone anziane ma autosufficienti che possono così condividere la loro assistenza ed essere monitorati, non 24 ore al giorno ovviamente, ma dal personale sanitario. Ad esempio, in località Ottavo,l’ente Serristori dispone degli immobili che potrebbero essere impiegate a questo fine, inoltre essendo in campagna sono tante le attività che i nostri nonni potrebbero svolgere assieme, ecco perché penso che sia una delle traiettorie da intercettare”. 

Ma attualmente, quanto costa soggiornare in una Rsa Serristori? Innanzitutto esiste una domanda di ammissione e una rispettiva lista di attesa, rispetto la quale hanno la precedenza i cittadini castiglionesi a parità di data di presentazione. La retta giornaliera per gli autosufficienti è 50 euro al giorno e non c’è un voucher di ausilio da parte della Asl, salvo casi particolari in cui l’anziano è solo e allora possono entrare in gioco i servizi sociali. In Rsa, l’Asl e i servizi sociali in base a criteri quali l’Isee, stabiliscono se il soggetto ha diritto o meno al voucher. In caso, il voucher di circa 53 euro viene assegnato alla persona che poi è libera di scegliere quale struttura preferisce: nel caso della “Cosimo Serristori”, l’importo di questo viene detratto dalla retta giornaliera che è 94 euro. Chi non ha diritto al voucher, paga la cifra per intero. 

“La pandemia ha dimostrato quanto sia necessario prendersi cura della salute psicofisica delle persone anziane, le più vulnerabili, anche rispetto alle conseguenze della solitudine e dell’esclusione sociale”, si legge sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Le statistiche e le previsioni, come accennato, palesano una sfida importante sia per il welfare sia per l’assistenza socio sanitaria: secondo l’Eurostat, attualmente l’Italia ha la popolazione più vecchia d’europa con il 23% di over 65, cifra destinata ad aumentare, e, secondo le attuali stime, nel 2030 i non autosufficienti raddoppieranno toccando quasi quota 5 milioni.  Curioso aggiungere che il numero di anziani per bambino passa da meno di 1 nel 1951 a 5 nel 2019 e l’indice di vecchiaia (dato dal rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e quella con meno di 15 anni) è notevolmente aumentato, dal 33,5% del 1951 a quasi il 180% del 2019. Continuando a sfogliare il documento, si legge che 500 milioni saranno stanziati per sostenere i più fragili e gli anziani per rafforzare i servizi sociali territoriali e “di prossimità”; mentre 300 milioni, riguarderanno la riconversione delle RSA in appartamenti autonomi, un processo di deistituzionalizzazione (o meglio, di prevenzione dell’istituzionalizzazione) ma finalizzato a garantire le cure necessarie in un contesto autonomo e socialmente adeguato. Nella stessa ottica, altre risorse saranno poi destinate al potenziamento di servizi domiciliari, di telemedica, di domotica e per l’attivazione di 1288 “case della Comunità.

E’ vero, il sottotitolo del Pnrr è “nextgeneretioniItalia”, ma i nostri nonni rimangono le radici da cui trarre la linfa e il faro da seguire per un nuovo miracolo italiano. Sessant’anni fa, la rinascita d’Italia dalla macerie, passò per le loro mani. Ora tocca a noi.

di Luca Amodio e Chiara Sciarri

foto di Giulia Barneschi