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Una riflessione sullo “sgarbo turco”. C’è un limite al “purché se ne parli”?

Dopo qualche giravolta, stamani è arrivata la decisione: la tanto contestata opera di Paolo Lelli, ovvero una latrina su cui è stata dipinta la bandiera turca, verrà rimossa dalla mostra “I mille di Sgarbi”, inaugurata ieri mattina presso la Pinacoteca di Castiglion Fiorentino. A dare la notizia è proprio l’ufficio stampa del critico d’arte tramite un post su Facebook in cui si spiega che la decisione è stata presa a seguito di “una serie di telefonate con autorità locali, rappresentanti di Governo, interlocuzioni dalle quali […] è emersa la ferma protesta dell’ambasciata turca a Roma”. Ma riavvolgiamo il nastro.

La presentazione della mostra, da sinistra l’assessore Massimiliano Lachi, Vittorio Sgarbi e il sindaco Mario Agnelli

Venerdì 11 Dicembre, alla vigilia dell’apertura dell’esposizione, Sgarbi pubblica sulla sua pagina facebook uno scatto della “Turca Autentica” che, proprio dal giorno dopo, sarebbe stata esposta al Museo Archeologico castiglionese. Nel giro di poche ore iniziano a polarizzarsi, sotto il post, minacce e insulti (da “verme schifoso” a “attento a cosa fai”) che catturano l’attenzione anche della stampa nazionale. Il giorno dopo l’evento prende regolarmente inizio seppur con una certa curiosità verso le dichiarazioni che il Professore avrebbe eventualmente speso riguardo l’accaduto.

L’opera di Paolo Lelli

E infatti, dopo la chiamata del Ministro della Salute Speranza, il curatore della galleria entra nel merito facendo trapelare un approssimativo mea culpa: “mi scuso comunque con la nazione turca per chiunque si sia sentito offeso dalla provocazione puerile”. Inoltre, proprio mentre si stava tenendo il convegno, appare un altro post su facebook da parte dello storico d’arte: “Questa è la degenerazione imposta dal cosiddetto ‘politicamente corretto”, in nome del quale si vuole adesso comprimere anche la libertà creativa dell’artista. È solo un’opera d’arte, non una dichiarazione di guerra o un’azione blasfema. Sono rimasto comunque sorpreso per la natura di certi commenti che incitano all’odio e alla violenza contro di me. Chiederò al mio legale di fare le necessarie azioni”. Sempre nello stesso post, a concludere si aggiunge: “Sempre ieri sera il Sindaco, preoccupato per quanto accaduto, ha chiesto di rimuovere la scultura nell’idea di placare le polemiche. Ma lo storico su questo ha subito messo le cose in chiaro: “Non se ne parla proprio. Semmai chiudo la mostra”.

Detto e (non) fatto visto che oggi è arrivato il dietrofront del senatore che, seppur ribadendo la strumentalizzazione del calembour, ha addirittura consigliato a Mario Agnelli, proprio per sottolineare l’amicizia diplomatica che lega Ankara a Roma, di invitare in città l’ambasciatore turco.

Luca Amodio nella foto di Giulia Barneschi

Insomma l’iniziativa ha ridato adito a una questione alquanto delicata: fino a dove si può spingere la libertà d’arte tutelata dal primo comma dell’articolo 33 della nostra Costituzione? Esistono “limiti impliciti”, quali il divieto di vilipendio alla bandiera? Non sta certo a chi è dietro queste righe dare risposte a una tanto spinosa questione giuridica ma certamente è legittimo porre questo interrogativo; come, d’altra parte, è lecito chiedersi se questa operazione, a posteriori, possa essere etichettata come una mossa di marketing oppure, al contrario, come una gaffe di cattivo gusto che poteva essere evitata. Viene alla mente un discutibile adagio in voga durante la prima Repubblica “bene o male l’importante è che se ne parli”.

Luca Amodio