Da poco più di due mesi siamo piombati in un clima irreale, a tratti anche assurdo, perché sembra di vivere in un tempo sospeso; un cambiamento repentino che ha colpito pesantemente la sfera personale, mettendo in discussione dei comportamenti che davamo per scontati come il semplice uscire di casa; ridisegnando la fenomenologia dei rapporti umani, non potendo più contare su alcuni pilastri sui quali si fonda la nostra società: basti pensare alla scuola, al ruolo importantissimo delle persone anziane, al significato della parola libertà, che per la prima volta non è un semplice slogan e tocchiamo con mano cosa possa significare non averla. Ma soprattutto ha interrotto bruscamente gran parte delle attività economiche che si sono ritrovate dalla sera alla mattina a dover gestire una situazione di chiusura. E qui il colpo è stato ancora più duro, un colpo in piena faccia, perché semplicemente non ce lo aspettavamo. Qualunque impresa, ma lo stesso vale per gli Stati, non era preparata a questo. Nessun Piano strategico contemplava questa ipotesi; nemmeno i player mondiali della consulenza strategica (Mc Kinsey, BCG tanto per citare i più conosciuti) lo avevano previsto.
E allora d’improvviso ci accorgiamo di cose anche piuttosto evidenti: che gran parte della popolazione vive in spazi troppo piccoli; che il modello di urbanizzazione spinta forse deve essere messo in discussione; che forse le comunità di minori dimensioni come quelle che vivono nei territori della nostra Valdichiana, che tutti davano per spacciate, possono tornare ad avere un senso; che forse la globalizzazione, che ha contribuito al nostro benessere, forse ci sta chiedendo un prezzo troppo alto; che è il momento di tornare a fare le cose e sviluppare l’imprenditorialità a tutti i livelli; tornare a percepire la differenza tra il prezzo ed il valore delle cose e quindi tenerne conto anche nel calcolo dei costi industriali di produzione. Un esempio su tutti: le mascherine. Un oggetto banale, che non era più conveniente produrre da noi, semplicemente perché ne avevamo dimenticato l’importanza strategica.
Nel frattempo però il tempo passa. L’emergenza sanitaria è stata e rimane ancora la prima priorità e non ringrazieremo mai abbastanza le migliaia di operatori sanitari e volontari che si sono spesi eroicamente gettando il cuore oltre l’ostacolo. Ma è necessario anche pensare all’altra grande emergenza, quella economica. Si cercano confusamente soluzioni per le Famiglie e per le imprese. E’ molto complicato perché ci si muove su ambiti sconosciuti e ancora tra i mille vincoli che il sistema non riesce ad allentare. E questo rende il nostro lavoro di banca molto complicato; un conto sono gli annunci, che provengono da tutte le parti; un conto è la difficoltà di mettere a terra e tradurre in fatti concreti per i nostri Soci e Clienti quanto deciso, non sempre in modo logico e coordinato, dai vari regolatori (Lo Stato, le Regioni, la BCE, la Banca d’Italia, l’INPS, Il Fondo Nazionale di Garanzia, la SACE ecc.). E allora si ragiona come difronte ad un corpo ferito: prima operazione, bloccare l’emorragia e stabilizzare il corpo (le misure per le sospensioni); su questo la nostra Banca si è mossa con grande celerità mettendo a disposizione le misure di sospensione dei mutui e dei finanziamenti, sia alle imprese che alle Famiglie; seconda operazione, rinforzare le difese immunitarie per fortificare il corpo e prepararlo ad affrontare lo sforzo della guarigione (le misure per la liquidità); si inietta un pò di liquidità, ma quanto basta, senza esagerare perché si rischia di scatenare una reazione opposta; la nostra Banca sta mettendo a terra, non senza fatica, le misure predisposte dal Governo, senza però esagerare perché si tratta comunque di un debito che, se pur garantito, dovrà essere restituito; terza operazione, quella più importante, si prepara una strategia di uscita dallo stato patologico e qui è necessario avere una strategia e un progetto (le idee, che però non arrivano per decreto). Anche su questa fase la nostra Banca è pronta ad intervenire e siamo a disposizione per valutare quanto i nostri Soci e Clienti ci vorranno sottoporre.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere; forse è il momento di spingere su un modello di sviluppo umano ed economico delle nostre Comunità, cercando di coniugare il vecchio e il nuovo; la tradizione e il saper fare, l’ispirazione dei luoghi, con quanto di meglio il progresso ci mette a disposizione. Oserei dire che l’unico limite è l’entusiasmo e la fantasia. Tutti e due questi elementi costituiscono da sempre il nostro corredo cromosomico; ce ne siamo un po’ dimenticati, ma è giunto il momento per togliere la ruggine e portarli ad nuova lucentezza. Su tutto questo la nostra Banca c’è da quasi 140 anni. E allora, in questo contesto, e quando sembra che tutto sia perduto e non si tornerà mai come prima penso che invece abbiamo una grande occasione per cambiare il punto di vista delle cose. Compito di una Banca di Comunità come la nostra è in prima istanza quello di incoraggiare il cammino di chi, mai domo, ha voglia di tornare a intraprendere e contribuire al progresso della Comunità, del Territorio dove viviamo e operiamo, ma anche di tutto il nostro Paese.
Roberto Calzini
Direttore generale della Banca Popolare di Cortona SCpA